Intervista: Lorenzo Redaelli, autore di Mediterranea Inferno
In cui si parla (tra le altre cose) dei consigli di una banca, di creatività, di pop infernale e di giovani artisti che galleggiano.
Bentornati a Giochetti, il microfono per le interviste che non ti aspetti. Compare così, di botto, come se avessero preso il comando gli sceneggiatori di Boris. Certo, nell’ultimo episodio si era parlato di una sorpresa, ma ho il sospetto che nessuno avrebbe immaginato di trovarsi davanti alla prima intervista di Giochetti. La prima! Questo lascia supporre che ce ne saranno altre. Non è entusiasmante? No? Perché ancora non avete letto questa. Alla fine ne riparliamo. Intanto, se non l’avete già fatto, potete leggere l’episodio della settimana scorsa dedicato a Mediterranea Inferno, il gioco realizzato da Lorenzo Redaelli con cui chiacchieriamo qui sotto.
Un’ultima nota per chi fosse alla Milan Games Week questo venerdì o sabato: fatevi sentire, perché ci incontriamo da quelle parti. E ora… buona lettura!
Ciao Lorenzo, grazie per aver accettato l’invito di Giochetti.
Figurati! Mi fa piacere.
Intanto complimenti perché hai vinto il premio come Miglior gioco italiano all’Italian Video Game Awards e qualche mese prima avevi già ricevuto il premio Excellence in Narrative all’Independent Games Festival di San Francisco.
Iniziamo proprio da questo, Mediterranea Inferno racconta di tre ragazzi che si ritrovano, o perlomeno provano a ritrovarsi, dopo il vuoto della pandemia. Anche il tuo primo gioco, Milky Way Prince - The Vampire Star, era una visual novel. Vista l’importanza che dai alla parte narrativa ti chiedo: perché Mediterranea Inferno non è un romanzo?
Diciamo che per il tipo di storie che volevo raccontare mi serviva un cervello capace di gestire una molteplicità di situazioni. In entrambi i giochi, anche se per motivi un po’ diversi, mi serviva avere tante facce della stessa medaglia, tante realtà diverse, parallele, che coesistendo dessero vita a una narrazione completa. Non mi interessava raccontare la mia visione diretta, ma più creare un sistema in cui i personaggi potessero esplorare una mia ipotesi. La mia visione si vede per lo più nei limiti che ho messo in questo sistema.
Cioè in quello che il giocatore lascia, in quello che decide di non vedere.
Esatto, quindi in realtà la differenza tra un romanzo e i miei lavori, per questo tipo di storie, è che serviva proprio una molteplicità di visioni, di punti di vista. Il mio primo gioco secondo me va giocato una volta, è come i test di Cioè, lo finisci e ti becchi quello che ti meriti. Invece Mediterranea Inferno è un gioco che andrebbe esplorato fino in fondo perché la parte più interessante sta nel vedere le differenze nella psicologia dei personaggi. Più che la storia, vedere come alcune psicologie si adattano a determinate situazioni.
Da dove parti per creare un gioco?
Sicuramente ho in testa una linea generica, anche se non mi piace partire da una storia predefinita perché sono uno che si annoia molto facilmente ed essendo progetti molto lunghi, per Mediterranea inferno ci sono voluti due anni e mezzo, devo intrattenere anche me stesso e non perdere interesse nel progetto. Quindi avevo delle coordinate, delle visioni di come sarebbero stati i finali, però il viaggio dei protagonisti diciamo che è stato un viaggio anche per me.
Creare la musica del gioco ti aiuta nell’ispirazione?
Sì, la musica mi aiuta tanto. Che sia di altri o mia la musica riesce a darmi una sorta di imprinting iniziale per l’atmosfera, una sensazione, un feeling da restituire poi a chi gioca. Prima di alcuni capitoli ho scritto la musica per entrare nella giusta direzione. A differenza di un libro, essendoci tanti agenti multimediali dentro, ci si può dedicare a seconda del momento a quale aspetto portare avanti: ci sono stati dei momenti in cui sentivo che c’era bisogno di una parte più strutturata nella scrittura e quindi scrivevo tanto, in altri mi dedicavo più all’aspetto visivo. Ci sono parti del gioco che avevano bisogno di una parte immersiva, più sensoriale quasi.
Nei miraggi per esempio vai su un registro più intimo. Praticamente utilizzi vari strumenti per arrivare al risultato che cerci, invece con un romanzo avresti solo il mezzo della parola scritta e forse da quello che dici ti annoieresti di più. Sembra anche un modo per variare il tipo di lavoro e la forma artistica a cui ti stai dedicando.
Assolutamente, penso che se non facessi così annoierei anche chi gioca. Infatti il mio fioretto per il prossimo gioco è fare in modo che sia comunque narrativo nel suo insieme ma che non utilizzi il testo.
Adesso però voglio sapere qualcosa di più sul tuo prossimo progetto. Hai già qualche idea in testa? Sei nella fase di sperimentazione?
Potrebbe anche non diventare il mio prossimo gioco, ma quello su cui sto lavorando adesso è in 3D e già questa cosa per me è abbastanza nuova. Sono in una fase soprattutto tecnica, capire se l’idea che hai può reggere e funziona.
Esperienza narrativa in 3D quindi tipo Firewatch? Anche se in quel titolo non c’è testo ma c’è comunque molto parlato.
Non proprio… sarà una sorpresa.
Hai ragione, non volevo chiederti uno scoop.
No, no è che non so ancora se quello che ho in testa è fattibile quindi non voglio portarmi troppo avanti [ride]. Diciamo che Mediterranea Inferno ha portato a galla tutti i problemi che vedevo senza dare soluzioni, i miei prossimi progetti vorranno provare a offrire delle soluzioni o quantomeno delle alternative.
Mediterranea Inferno è anche molto crudele, i personaggi che non prendi in simpatia e a cui non fai mangiare il frutto per vivere il miraggio, in un certo senso li condanni.
È un po’ nel mood che avevo all’epoca, mi sarebbe sembrato becero dopo tutto quello che accade nel gioco presentare una soluzione positiva. Diciamo anche che nonostante sia un gioco molto universale in Mediterranea Inferno prendo in considerazione una bolla molto specifica.
Questo secondo me fa parte anche dell’originalità del racconto: tu metti in scena un mondo omosessuale, queer, e in genere quando in una storia questa componente è così palese ci si aspetta anche che diventi il tema della narrazione, tu invece lo descrivi in maniera vivida, realistica, molto sincera, ma fa parte del paesaggio, il tema rimane questo: tre ragazzi cercano di riprendere le loro vite dopo il buco della pandemia.
Assolutamente, anche perché tutta la varia produzione queer mainstream è fatta per gli etero. In genere è un modo per far accettare o normalizzare, mentre io semplicemente descrivo una realtà che mi ha circondato soprattutto in quegli anni. Io poi sapevo che mi sarei rivolto a un pubblico internazionale, perché il mercato dei videogiochi è internazionale. Potevo rifarmi a Guadagnino o fare come i giapponesi che ti spiattellano in faccia il loro modo di vivere e questo è il metodo che ho scelto.
Il gioco è stracolmo di riferimenti.
Ce ne sono tanti perché anch’io come autore mi sono dovuto paragonare o rifare a un immaginario che ho decostruito. Ho volutamente inserito molti riferimenti perché volevo capire cos’era attualizzabile e cosa invece era invecchiato male, anzi, a volte era ormai tossico. C’è un grosso lavoro di decostruzione anche su cosa vuol dire essere italiani.
Prima parlavi di progetti al plurale, oltre ai prototipi di futuri giochi stai lavorando ad altro? Per quanto è ampio il lavoro che hai fatto in Mediterranea Inferno potresti realizzare anche una graphic novel o un album musicale, mi aspetto di tutto.
Sto facendo musica adesso. Penso che il mio nuovo album uscirà tra tre o quattro mesi. È un’opera totalmente guerrilla, autoprodotta, creata dal nulla con gli amici che mi hanno aiutato a rifinire perché io sono un casinista.
Genere?
Ti direi pop decostruito, visto che prende gli elementi dei generi mainstream e li ragiona e magari quello che funziona lo inserisco in un contesto più disturbante creando un paesaggio sonoro quasi… infernale. Però allo stesso tempo è pop.
Pop infernale non l’avevo mai sentito! So già che lo ascolterò.
Per me fare musica è terapia, nel senso che mi aiuta a rilassarmi, ogni volta che mi succede qualcosa scrivo una canzone. Pubblicare in maniera molto più veloce rispetto a un videogioco mi aiuta anche a processare delle cose intime in maniera più veloce.
A proposito della pubblicazione di Mediterranea Inferno. Non so se mi puoi rispondere a quello che ti sto chiedendo adesso: grande successo di critica, grande attenzione mediatica, ti sta dando soddisfazioni anche a livello di vendite? Stai vivendo di un lavoro artistico?
Ni, sto galleggiando con un lavoro artistico. Gli amici della mia età che considero anche i miei artisti preferiti, la loro produzione è qualcosa in cui mi rivedo e mi ritrovo, sono persone dal talento smisurato… e io sono quello più ricco, quindi figurati! Siamo tutti con l’acqua alla gola, non è un paese in cui si può andare avanti facendo arte soprattutto se sei giovane. È molto difficile, ci vorrebbe un modo per essere sostenuti e riconosciuti. A prescindere dalle vendite, lo stato dovrebbe trovare un modo per tutelare le realtà artistiche. Magari anche in un’ottica di aumentarne le vendite, alla fine creerebbe un ritorno per lo stato stesso. Ci vorrebbe un sistema in cui un artista è tranquillo e tutelato e sa che può rischiare. Perché in Italia è diventato una roulette russa fare arte.
Leggevo proprio in questi giorni di come la politica irlandese abbia sostenuto la crescita del proprio movimento letterario [lo leggevo in un vecchio articolo del Post] che ha portato alla nascita di autori di grande successo, riconosciuti internazionalmente: Sally Rooney, Paul Lynch, Anne Enright e molti altri. E non è che abbiano fatto chissà che cosa, hanno tagliato le tasse, hanno stanziato dei fondi per sostenerli, in sostanza li aiutano a pagare le bollette. Perché magari è vero che in adolescenza si hanno dei sogni di ricchezza, però poi a un artista basterebbe vivere facendo arte.
Sono io, totale. Tutto quello che mi entra lo sto usando per fare musica e portare avanti i miei progetti. E oltre a vivere direi anche non perdere la dignità facendo arte. Quando sono andato in banca mi hanno chiesto: qual è la tua professione? Io ho risposto “artista” e loro mi hanno detto: mettiamo “studente”. Per dirti.
Fantastico. Senti, chiudiamo con una nota più allegra: a cosa stai giocando?
Devo confessare che non sono un gamer incallito e come dicevamo prima sono iperattivo quindi se sto troppo tempo su un libro o su un gioco mi sento in colpa, dev’essere una cosa cattolica del tipo “se non produco non valgo niente”. Però gioco per staccare il cervello, soprattutto in estate. Ho ripreso in mano Red Dead Redemption 2 che avevo già giocato l’anno scorso. Poi ogni volta che mi lascio faccio un giocone infinito per superarla… quindi ogni estate ce n’è uno [ride].
Allora speriamo che il prossimo gioco immenso che giocherai sia Red Dead Redemption 3 che ci metterà un sacco di tempo a uscire. Da come lo racconti sembra che il videogioco ti faccia respirare.
Sì, le cose che gioco sono un po’ random. Sai cosa gioco tantissimo? Planet Coaster, il gioco manageriale delle montagne russe, lì mi chiudo, ci perdo trecento ore a settimana. Quello però non è neanche un gioco, è un software, è un lavoro!
Lorenzo facci ascoltare il tuo nuovo album e giocare al tuo prossimo gioco il prima possibile. Grazie davvero per la chiacchierata, è stata molto interessante.
Grazie a te e ai lettori di Giochetti, ciao!
Titoli di coda
Solo una cosa: fatemi sapere se l’intervista vi è piaciuta. Grazie a tutti quelli che continuano a far girare Giochetti tra gli amici: il mondo (e in parte il mio equilibrio mentale) si regge su questa vostra follia. Grazie, grazie, grazie. Al prossimo episodio!
Bella intervista e molto interessante il format-intervista in sè!
Lorenzo è un ragazzo veramente bravo e ispirato, oltre ad avere un'enorme passione in quello che fa. Già quando era stato intervistato da Console Generation mi ha dato subito una bellissima sensazione.
Vai di altre interviste, è sempre interessante conoscere il pensiero degli sviluppatori l