Bentornati a Giochetti, la feritoia dalla quale osservare le stranezze del mondo. Mettiamo subito in chiaro una cosa: l’episodio è lungo (probabilmente più lungo di quanto Gmail vorrebbe) ma c’è un motivo per questa logorrea. Oggi infatti finisce la seconda stagione di Giochetti e inizia la pausa estiva, per questo vi lascio con un articolo ricco, di quelli da leggere sotto l’ombrellone, come diranno ai telegiornali fino alla prima pioggia di ottobre.
Spero vi piaccia leggere questo articolo tanto quanto è piaciuto a me scriverlo. E ricordatevi che se volete potete farlo girare: quest’email (o questa pagina, per chi legge su Substack) non si consuma. Fatevi sentire per qualunque suggerimento, idea, parere. A presto!
Il castello è l’immagine del potere. Da secoli rappresenta lo status irraggiungibile del re che regna sulle terre circostanti.
Non è un caso se al mare, ancora oggi, costruiamo castelli di sabbia: è il modo con cui i bambini del medioevo maneggiavano un simbolo così importante per la loro vita. Potevano anche distruggerlo con un calcio, se solo avessero voluto. Era un gioco tanto semplice quanto potente, al punto da restare in uso fino ai giorni nostri.
L’intera esistenza del popolo era regolata dal castello. In vista di un attacco il suo portone si spalancava e permetteva al volgo di entrare per proteggersi; altre volte una cinta muraria abbracciava le case del borgo e le sue stesse pietre diventavano strumento di protezione e simbolo di potere. Erano un’emanazione del signore benevolo che si prendeva cura della propria gente.
E se invece il castello era abitato da qualcuno mosso da istinti crudeli?
All’improvviso mi sono reso conto che il cocchiere aveva fermato i cavalli nel cortile di un enorme castello in rovina, dalle cui alte finestre nere non filtrava nemmeno un raggio di luce e le cui merlature spaccate disegnavano una linea frastagliata contro il cielo rischiarato dalla luna.
In queste righe tratte da Dracula, Bram Stoker ci presenta il vampiro attraverso il luogo che abita: un’architettura corrotta, tetra e in rovina – comunque imponente – come l’animo del suo signore.
Ecco il momento in cui Jonathan Harker, dopo essere stato accolto da Dracula, osserva da una finestra il territorio circostante e poi inizia a vagare per i corridoi e le stanze in cui è ospite:
Il castello si trova sul bordo di un terribile precipizio. […] dopo avere ammirato il paesaggio ho proseguito la mia esplorazione; porte, porte, porte ovunque, tutte chiuse a chiave e sprangate. Da nessuna parte, eccetto che dalle finestre del castello, esistono vie d’uscita. Il castello è una vera e propria prigione, e io sono il prigioniero!
[…] sono sceso lungo le scale di pietra fino al salone in cui ero entrato al mio arrivo. Ho scoperto che potevo aprire i catenacci abbastanza facilmente e sganciare le grosse catene; ma la porta era chiusa a chiave e la chiave era sparita!
È esattamente l’inizio di Atic Atac, un videogioco molto antico – per gli standard dell’industria videoludica – pubblicato nel 1983 su ZX Spectrum. Sia che si scelga come personaggio il cavaliere, il ladro o il mago, ci si ritrova all’interno del salone principale del maniero dove l’immensa porta che condurrebbe all’esterno è sbarrata. Lo scopo del gioco è proprio questo: esplorare le numerose stanze e recuperare i tre pezzi della chiave d’oro in grado di aprire il portone e permetterci di fuggire.
Forse è meglio ricordare in poche righe cos’è uno ZX Spectrum 48k: uno dei primi computer commercializzati al grande pubblico e per me, ancora oggi, quello con il nome più bello. “48k” indica con vanto la quantità di memoria a sua disposizione. Probabilmente – anzi, senza dubbio – la lavatrice con i programmi preimpostati che abbiamo in bagno ne ha a disposizione molta di più. Eppure, come Bram Stoker è riuscito a fare in Dracula, in Atic Atac la Ultimate Play the Game – la software house da cui poi nascerà la ben più famosa Rare – è riuscita a far entrare molta più atmosfera, profondità e avventura di quanto sarebbe stato logico aspettarsi: un maniero di quattro piani, compreso lo scantinato e le grotte sottostanti; un inventario con tre slot in cui mettere i pezzi della chiave d’oro oppure le altre quattro chiavi colorate che sbloccano le rispettive porte; passaggi segreti differenti per ogni personaggio; botole in cui cadere per sbaglio o per scelta; un pollo arrosto gigante che rappresenta la nostra energia e che pian piano si spolpa lasciando le ossa a indicare la nostra morte. Come se non fosse abbastanza, diversi mostriciattoli compaiono random nei vari anfratti, accompagnati da cinque grandi mostri che invece presidiano una sola stanza del castello e che possono essere contrastati con oggetti specifici, anche questi distribuiti a caso all’inizio di ogni partita. Scusate se è poco. I cinque grandi mostri – forse uno potreste averlo intuito – sono: Dracula, Frankenstein, il Gobbo, la Mummia e il Diavolo. Ultima meraviglia: Atic Atac è giocabile gratuitamente su Internet Archive.
Ma non ci sono solo i mostri della letteratura gotica a invadere e a corrompere il mondo degli umani. Nelle prime pagine de Lo Hobbit, J. R. R. Tolkien fa parlare Thorin che racconta la storia di come suo nonno divenne il Re sotto la Montagna:
«[…] i miei parenti vi scavarono sotto delle miniere e dei tunnel, e vi costruirono sale più larghe e officine più grandi; inoltre trovarono, credo, un bel po' d'oro e anche un'infinità di pietre preziose. In ogni modo divennero immensamente ricchi e famosi […]».
E dopo aver raccontato la nascita del regno, poche righe dopo, Thorin racconta la sua fine a causa del drago Smaug (Smog nella traduzione italiana).
C'era un drago particolarmente avido, forte e malvagio, chiamato Smog. Un giorno si levò in aria e volando giunse al Sud. La prima cosa che sentimmo di lui fu un rumore come d'uragano provenire da Nord, e i pini sulla Montagna scricchiolare e schiantarsi al vento. Con alcuni dei Nani che per caso si trovavano all'aperto […] vedemmo il drago calare sulla nostra montagna in una nube di fuoco. […] I Nani si precipitarono fuori della grande porta, ma trovarono il drago ad aspettarli. Nessuno si salvò per quella via. […] [Il drago] si infilò dentro la Porta Principale e mise a soqquadro tutte le sale, i condotti, i tunnel, i corridoi, le cantine, le abitazioni e i passaggi. Dopo di ciò non rimase all'interno un solo Nano vivo, ed egli si impadronì di tutti i loro beni. Probabilmente, perché questo è l'uso dei draghi, ha ammassato tutto in un gran mucchio nel cuore della Montagna e ci dorme sopra come fosse il suo letto.
Smaug è un dei più famosi draghi della letteratura e se non fosse per il suo colore –squame rosse, molto di moda tra i draghi – sarebbe identico a Singe, perché entrambi dormono sopra una montagna di monete d’oro e gioielli preziosi. Solo che Singe non fa parte della mitologia del Signore degli Anelli, è il boss finale di Dragon’s Lair, un videogioco che ha fatto la storia.
Uscito come cabinato nel 1983, lo stesso anno di Atic Atac, Dragon’s Lair si fece subito notare per la grafica paragonabile a un cartone animato. Non è un caso che Don Bluth, a capo del progetto insieme a Rick Dyer, avesse lavorato in precedenza per la Disney. Nelle sale giochi dell’epoca i pixel grossi come noci la facevano da padrone e vedere un coin-op con una grafica del genere sbalordì i giocatori. A Roma ricordo che un cabinato faceva mostra di sé al bar dello Zodiaco, una terrazza panoramica con vista sulla capitale, e ricordo soprattutto che mio padre decise di andarlo a provare. La grafica era – ed è ancora – talmente bella che venne creato un cabinato con doppio monitor, il secondo posto a mo’ di cappello sopra il cassone per consentire la visione della partita anche al pubblico alle spalle del giocatore. Posso confermare che quel giorno c’era un discreto gruppo di spettatori.
Tanta magnificenza estetica obbligò il gameplay a pagare un prezzo molto salato: tutto si riduce a una sequenza di QTE (Quick Time Events) che oggi troviamo – di rado, a dire la verità – all’interno di giochi più complessi, quando una scena particolarmente spettacolare richiede di premere alcuni tasti con tempismo per far proseguire l’azione. Accade per esempio nella serie di God of War che ne ha fatto uso negli scontri con i boss.
Dirk the Daring, il protagonista di Dragon’s Lair, è un cavaliere dall’aspetto un po’ buffo ma allo stesso tempo credibile. Ne facciamo la conoscenza nei primi istanti di gioco, quando attraversa il ponte levatoio. Questa sequenza, che alla prima partita sembra solo un’introduzione animata, si trasforma per tutti in un rapido game over: il legno del ponte cede, Dirk si ritrova aggrappato per le dita mentre una strana creatura emerge dal fossato. Tempo due secondi e il cavaliere viene afferrato dai tentacoli e trascinato in acqua. La scena riparte subito dopo e una vita è stata consumata. Quello che il giocatore deve fare è dare un colpo di spada appena si trova davanti i tentacoli e premere verso l’alto per issarsi di nuovo sul ponte. Solo allora il personaggio varcherà la soglia del castello sano e salvo. Due tocchi, timing perfetto, scena risolta. Il gioco è tutto così. Semplice e radicale – qualcuno direbbe stitico nel gameplay – all’epoca nessuno aveva mai fatto niente del genere e fu un successo. Ma perché Dirk sta entrando nel castello? Vuole uccidere Singe? Vuole i tesori? Non proprio o, meglio, non solo.
Lo Hobbit ci viene anche in questo caso in aiuto: Smaug invade la Montagna – quanto di più simile a un castello abbiano i nani – e corrompe il regno e il territorio vicino:
Era solito poi strisciare fuori della grande porta e andare a Dale di notte a portar via delle persone, specialmente fanciulle, per mangiarsele, finché Dale non fu rovinata e tutta la sua gente morta o partita.
Anche Singe ha la stessa passione e ha rapito una principessa, non per mangiarla ma per rinchiuderla in una sfera di cristallo e tenerla prigioniera tra i suoi tesori. In fondo chi meglio di un drago può incarnare avidità e sessismo? Dirk è arrivato per liberarla.
Se la storia non vi sembra originale è perché il cavaliere che salva la principessa nel castello è un topos delle fiabe e non solo. Prendiamo come esempio l’Orlando furioso scritto da Ludovico Ariosto: in una delle tante sottotrame del poema cavalleresco del 1516 il mago Atlante crea prima un castello d’acciaio, poi un palazzo incantato. Orlando, nel sedicesimo canto, si convince di aver visto un cavaliere portare via la bella Angelica:
Corse dentro alla porta messa d'oro
con la donzella in braccio il cavalliero.
Il castello è in realtà un labirinto e tutti gli sventurati che si ritrovano al suo interno finiscono per inseguire i miraggi dei loro desideri. Orlando non sa che le mura sono frutto di stregoneria e segue l’illusione infilandosi nella trappola:
Orlando, come è dentro, gli occhi gira;
né più il guerrier, né la donzella mira.
Chissà se Don Bluth si è ispirato proprio a questa scena. Infatti in Dragon’s Lair la magia non manca: anche il castello in cui si avventura Dirk è incantato e l’ordine delle stanze cambia a ogni partita trasformandolo in un labirinto. Ogni tanto, entrando in alcune stanze, intravediamo Daphne che grida “Save me” (“Salvami”, in italiano) e viene portata via.
Il gioco è uscito su qualunque piattaforma esistente e quindi non avrete difficoltà a incontrare il Re Lucertola e gli invincibili uomini lava, ad avventurarvi nell’antro del mago e soprattutto ad affrontare il drago Singe. Se non avete voglia di cimentarvi nell’avventura potete rimediare andando su Youtube dove esistono le run complete del gioco che vi permetteranno di godere comunque di questa meraviglia animata.
I videogiochi di cui finora abbiamo parlato appartengono agli albori dell’intrattenimento videoludico. Accostiamoci a tempi più moderni passando per un gioco che alla sua uscita è stato acclamato dal pubblico e dalla critica e ancora oggi resta una bellissima opera di Capcom: mi riferisco a Resident Evil 4, un gioco nato nel 2005 su Nintendo Gamecube e poi riproposto più volte – in virtù del suo successo – su molte altre console. Visto che nel 2023 è uscito un suo remake per PS5 e Xbox Series X/S sarà lui il nostro ponte – levatoio – tra l’antichità dei videogiochi e l’epoca contemporanea.
La premessa di Resident Evil 4 è degna di un film d’azione trash: la figlia del presidente degli Stati Uniti è sparita nei pressi di un piccolo villaggio spagnolo e un agente speciale viene inviato per recuperarla. Accompagnato da due poliziotti locali – che non saranno di grande aiuto – Leon S. Kennedy scoprirà che la ragazza è stata rapita da una setta, i cui accoliti sono vittime di uno strano parassita.
Il gioco segnò una svolta action per la serie di Resident Evil e alcune soluzioni – come la telecamera sopra la spalla del personaggio – sono state canonizzate proprio con l’uscita di questo titolo. Non manca comunque la continuità con il resto della saga: le scene horror e splatter, gli anfratti bui e gli agguati sono ancora presenti e la sensazione di essere braccati e in difficoltà viene costruita e amplificata dalla gestione dell’inventario, dalle munizioni sempre scarse e dalla legnosità dei movimenti del personaggio che non consentono azioni rapide tipiche di giochi molto più votati all’azione.
Tutto il territorio in cui si svolge Resident Evil 4 è stato contaminato dal male e il castello di Salazar – si vede bene nel remake del 2023 – appare in lontananza, appollaiato sull’altra sponda del lago che esploriamo nelle prime fasi di gioco. Non abbiate dubbi però: più avanti Leon ci finirà dentro e non ci vorrà molto tempo per capire che anche quel luogo è pieno di orrore e di pericoli.
Per fuggire da atmosfere troppo cupe e rendere il gioco più simile a un blockbuster hollywoodiano – da gustare con popcorn e bibita con cannuccia – Capcom ha lavorato sul tono della narrazione, alleggerito dalle battute del protagonista durante le scene d’intermezzo o di fronte a uccisioni particolarmente spettacolari. In queste occasioni Leon si vanta delle sue gesta e commenta gli eventi con la spocchia ironica di un Dominic Toretto di Fast & Furious o, per rimanere in tema, di un Ash nella saga di Evil dead. C’è quindi un fondo di leggerezza appaiato all’orrore più profondo, uno spirito scanzonato che ritroviamo spesso nelle fiabe – forma letteraria senza tempo per eccellenza – e nello specifico in Storia di uno che se ne andò in cerca della paura, dei Fratelli Grimm, in cui un padre caccia di casa uno dei suoi due figli perché troppo stupido – le fiabe sono sempre molto dirette nei giudizi.
Il ragazzo parte per il mondo proprio con il desiderio di comprendere la paura:
[…] se fosse possibile, vorrei imparare a farmi venir la pelle d'oca; di questo non so proprio nulla.
Curiosità nata perché fin da piccolo non è mai stato in grado di capire le storie spaventose raccontate la sera tardi, davanti al fuoco del camino.
Dopo alcune disavventure che non lo spaventano minimamente, il ragazzo giunge nella taverna di un villaggio dove forse qualcuno sa come risolvere il suo problema:
Non lasciò in pace l'oste, finché questi gli raccontò che là vicino c'era un castello incantato, dove si poteva imparare benissimo che cosa fosse la pelle d'oca, purché ci si vegliasse tre notti. A chi osasse farlo, il re aveva promesso in sposa sua figlia, la più bella fanciulla che ci fosse al mondo; […]. Già molti erano entrati nel castello, ma nessuno ne era uscito.
Con lo stesso atteggiamento un po’ incosciente di Leon in Resident Evil 4, il protagonista della fiaba non ci pensa due volte ed entra nel castello. Riuscirà a conoscere la paura? Non voglio rovinare a nessuno il gusto di leggere la fiaba, sappiate solo che all’interno del castello – accogliente quasi quanto quello di Salazar – mostri, spiriti e animali malvagi lo tormenteranno con tutte le loro forze.
Per una coppia di eroi che si lancia all’avventura in modo un po’ ottuso e con forti dosi di imprudenza, esiste anche un antieroe coscienzioso che invece il castello lo brama senza riuscire ad avvicinarcisi mai. È il caso di K., il protagonista de Il castello di Franz Kafka, che convinto di essere stato assunto dal Conte si mette in viaggio per raggiungere la sua nuova casa.
Era tarda sera, quando K. arrivò. Il villaggio era immerso in una spessa coltre di neve. Non si riusciva a vedere la collina, nebbia e oscurità la circondavano, neanche il più debole bagliore di luce indicava il grande Castello. K. rimase a lungo sul ponte di legno che dalla strada maestra conduceva al villaggio, e guardò su, nel vuoto apparente.
Mentre la descrizione del castello del conte Dracula ci lascia intuire l’orrore in agguato al suo interno, K. è di fronte a qualcosa di sfuggente – un vuoto – che esiste ma non si vede. Quando K. arriva al borgo è convinto che sia solo una breve tappa – la penultima – del suo viaggio, ma scoprirà presto che tutti gli abitanti sono diffidenti, gelidi, spesso scortesi, perché vittime del potere soffocante del castello che si manifesta nei numerosi ostacoli burocratici e nelle soffocanti convenzioni sociali.
«Sta guardando il Castello?», chiese con un tono più benigno di quanto K. si attendesse, ma dando l'impressione di non approvare quanto stava facendo. «Sì», disse K. «Non sono di qui, sono arrivato soltanto ieri sera.»
«Il Castello non le piace?», domandò velocemente l'insegnante. «Come?», tornò a chiedere K. un po' stupito, ripetendo la domanda in una forma più blanda. «Se mi piace il Castello? Perché crede che non mi piaccia?»
«Non piace a nessun forestiero», disse il maestro.
K. cercherà più volte di spingersi fino alla cima della collina o di mettersi in contatto con il Conte, ma fallirà costantemente. A ulteriore beffa, il manoscritto di Kafka è rimasto incompiuto per la morte dell’autore e non sapremo mai se alla fine K. sarebbe stato in grado di raggiungere l’agognata meta. Il libro però fa in tempo a mostrarci in modo sottile e inquietante come la corruzione possa espandersi nel mondo a partire dall’uomo: quando il potere diventa contorto e deviato – quando si isola e parla solo con sé stesso – i sudditi ne vengono travolti.
È lo stesso destino del borgo di Darkest Dungeon, un gioco indie nato da una raccolta fondi lanciata su Kickstarter nel 2014. La scintilla narrativa da cui si avvia la storia è una lettera di un antenato che ci confessa di aver condotto alla rovina il suo maniero e i territori circostanti. Scavare il sottosuolo ha liberato creature indicibili – a qualcuno verrà in mente il destino dei nani di Moria – e quando raggiungiamo il villaggio ci accorgiamo subito della decadenza causata delle sue azioni.
Darkest Dungeon è un gioco diviso in due sezioni: la più classica è l’esplorazione dei vari dungeon – appunto – sparsi sul territorio, dove andremo alla ricerca di tesori e di indizi utili a capire le vicende accadute prima del nostro arrivo. L’altra metà del gioco riguarda la gestione di quanto avviene nel borgo: dalla decisione di accogliere o meno gli avventurieri richiamati dal desiderio di arricchirsi, allo sviluppo dei vari edifici che consentiranno di potenziare il party. La gestione non si limita a migliorare le armi, le corazze o le tecniche di combattimento per le numerose – e in parte anche originali – classi disponibili, ma comprende anche l’aspetto psicologico e la salute degli avventurieri. C’è infatti una taverna dove ritemprare lo spirito dopo le scorribande e una casa di cura per le malattie contratte combattendo – a turni – contro le strane creature del gioco. Patologie ed esaurimenti nervosi sono due aspetti che influenzano direttamente sia le statistiche che il comportamento dei personaggi durante le esplorazioni. Uno stress eccessivo potrebbe portare la vestale a diventare irrazionale e quindi a usare i suoi poteri su di sé invece che su un compagno ferito, oppure l’antiquario potrebbe diventare paranoico e rifiutare un aiuto, o ancora un crociato spaventato potrebbe decidere di fuggire nella retroguardia invece di sferrare il suo attacco. Livelli di stress elevato, si sa, possono far uscire il lato peggiore di noi.
La grafica ha uno stile molto particolare, con tratti neri e cupi che si adattano alla perfezione all’atmosfera e che rendono l’esplorazione ancor più tesa. In Darkest Dungeon la sensazione di pericolo è costante e le scelte del giocatore fanno la differenza: conservare una torcia o sfruttare lo spazio nell’inventario per trasportare più tesori? Ogni decisione ha un costo e restare al buio per un calcolo sbagliato avrà un effetto sui vostri personaggi e su di voi, consapevoli che non sempre tutti quelli che partono per un’avventura poi fanno ritorno al villaggio.
Nonostante i pericoli il borgo continuerà ad accogliere nuovi eroi – e il cimitero a riempirsi – e un pezzo alla volta la storia dell’antenato ci condurrà allo scontro finale all’interno del maniero abbandonato.
Questa pulsione irrefrenabile che spinge l’uomo – o più nello specifico: il giocatore – a lanciarsi verso imprese al limite del possibile è in realtà facilmente spiegabile: un sogno, un desiderio, diventa ancora più grande se ci appare irraggiungibile. Lo sa bene Grifis, uno degli indimenticabili personaggi di Berserk, il capolavoro del compianto Kentarō Miura. In un flashback lo vediamo da bambino mentre gioca con i suoi amici nei vicoli del borgo sovrastati dal castello. La visione delle mura, delle torri, di questo magnifico simbolo del potere, diventerà la fonte delle sue motivazioni e la sua più grande aspirazione.
Berserk è ambientato in un territorio popolato da forze oscure che ne hanno ormai preso possesso, lo hanno danneggiato, fatto marcire. Ci troviamo di fronte a un mondo morente, figlio di un immaginario prossimo a quello di un altro maestro: Hidetaka Miyazaki che nel 2022 attraverso FromSoftware ci ha dato accesso alle lande di Elden Ring. Ogni scorcio, ogni ponte, ogni creatura, tutto nell’universo narrativo di Elden Ring racconta di un passato che non esiste più, di una vita radiosa che ormai si è quasi completamente spenta. Una trasformazione che lasciamo descrivere a un altro autore che senza dubbio avrebbe apprezzato il lavoro di Miura e di Miazaki: Edgar Allan Poe.
The Haunted Palace (Il palazzo stregato, traduzione in italiano a seguire)
In the greenest of our valleys
By good angels tenanted.
Once a fair and stately palace -
Radiant palace - reared its head.[…]
Wanderers in that happy valley,
Through two luminous windows, saw
Spirits moving musically,
To a lute's well-tuned law,[…]
But evil things, in robes of sorrow,
Assailed the monarch's high estate.
(Ah, let us mourn! — for never morrow
Shall dawn upon him, desolate!)
And round about his home the glory
That blushed and bloomed,
Is but a dim-remembered story
Of the old-time entombed.And travellers, now, within that valley,
Through the encrimsoned windows see
Vast forms that move fantastically
To a discordant melody,
While, like a ghastly rapid river,
Through the pale door
A hideous throng rush out forever
And laugh — but smile no more.
Il palazzo stregato
Nella più verde delle nostre valli,
abitata da angeli buoni,
una volta un bel maestoso palazzo –
un radioso palazzo – alzava la sua fronte.[…]
I viandanti in quella felice valle
scorgevano, attraverso due vetrate luminose,
spiriti muoversi con musicale armonia,
obbedienti ai ritmi di un liuto[…]
Ma spiriti malvagi, in vesti luttuose,
assalirono di quel monarca l'alto dominio,
(ah, piangiamo!, che mai più un domani
per lui albeggerà, desolato!)
E ora d'intorno al palazzo, quella gloria
che fiammeggiava e fioriva allora
non è che una storia oscuramente ricordata,
di quel vecchio tempo sepolto.E chi passa ora in quella valle
scorge, attraverso le rosseggianti vetrate,
immani forme fantasticamente agitarsi
ad una discordante melodia,
mentre, come un vorticoso spettrale fiume
per la pallida porta, ad uscir per sempre
si precipita un'orrida folla,
che ride, sghignazza – ma più non sorride.
I radiosi palazzi dell’Interregno si sono trasformati in rovine e – come nella poesia di Poe – le folle che li abitano ora sono piene di forza, ma hanno perso ogni sorriso. C’è, in Elden Ring, un evidente rispetto per il buio, per la parte oscura della vita. Il protagonista del gioco, il Senzaluce, esplorerà questo immenso mondo alla ricerca dei frammenti dell’Anello ancestrale, ma non sarà un viaggio facile.
FromSoftware è famosa per la sua serie DarkSouls – che di fatto ha creato un genere, i soulslike – dotati di un gameplay che non fa sconti: il combattimento all’arma bianca o tramite magie è complesso e richiede apprendimento. Non esistono battaglie facili: in Elden Ring il più scarso degli avversari può ucciderci se sottovalutato. A volte saremo costretti a evitare avversari che intuiamo essere troppo potenti o a fuggire da scontri in cui stiamo per avere la peggio, fa parte anche questo della bellezza di un mondo che lotta contro la sua stessa fine.
Elden Ring è il gioco più complesso e ambizioso tra tutti quelli di cui abbiamo parlato finora. Ogni volta che al giocatore sembrerà di aver raggiunto l’orizzonte nuove meraviglie – diroccate – appariranno in lontananza. Ma senza spingersi così avanti nell’avventura, basti sapere che si può esplorare l’Interregno per decine di ore prima di avere la forza o il coraggio di entrare dentro al primo castello che riusciamo a scorgere già nelle fasi iniziali di gioco. Presto scopriremo che la strada per arrivarci non è poi molta, vari indizi indicano che lì è custodito parte del tesoro che stiamo cercando, ma non conosciamo l’orrore che ci aspetta all’interno e ne abbiamo paura. Allora è facile ritrovarsi a girare per le lande, cercando di imparare a combattere, di rendere il nostro personaggio più forte e di costruire con l’esperienza una build (l’insieme delle variabili che caratterizzano il protagonista) che corrisponda al nostro stile di gioco. Ma il castello è là che ci attende, e prima o poi saremo inevitabilmente attratti al suo interno.
Che sia in Elder ring, in Dracula o in una delle altre opere citate, finiremo sempre vittime del fascino dei castelli. Continueremo a esplorarli. E a giocarci. Chi di noi non ha mai costruito un castello di sabbia? L’unica differenza rispetto ai secoli passati è che adesso, quando vogliamo giocare con un castello – sia che si voglia infrangerne il simbolo o adorarlo – non dobbiamo per forza andare in spiaggia e mischiare la sabbia con l’acqua, possiamo farlo in infiniti modi diversi con un joypad in mano.
Bibliografia
(in ordine di citazione)
Stoker, Bram (2021) [1897] Dracula (Edizione italiana) [Dracula] [Horror gotico] [Digitale] Firenze, Giunti Editore/Bompiani
Tolkien, J. R. R. (2012) [1937] Lo Hobbit. Un viaggio inaspettato (Edizione italiana) [The Hobbit, or There and Back Again] [Fantasy] [Cartaceo] Milano, Bompiani
Ariosto, Ludovico (2011) [1516] Orlando furioso (Edizione italiana di pubblico dominio) [Poema cavalleresco] [Digitale] Milano, Simplicissimus Book Farm
Grimm, Jacob e Wilhelm (2011) [1812] Tutte le fiabe (Edizione italiana integrale) [Kinder- und Hausmärchen] [Fiaba] [Cartaceo] Roma, Newton Compton Editori
Kafka, Franz (2006) [1926] Il castello (Edizione italiana) [Das Schloss] [Romanzo] [Digitale] Roma, Newton Compton Editori
Miura, Kentarō (2001) [1989] Berserk Collection vol. 10 (Edizione italiana) [Beruseruku] [Fumetto dark fantasy] [Cartaceo] Panini Comics - Planet Manga
Poe, Edgar Allan (2011) [1839] Tutti i racconti, le poesie e le avventure di «Gordon Pym» (Edizioni italiana) [Poesia] Roma, Newton Compton Editori
Ludografia
(in ordine di citazione)
Stamper, Chris e Tim (1983) Atic Atac [Arcade adventure Maze] [Cassetta] [ZX Spectrum] Ultimate Play the Game
Advanced Microcomputer Systems (1983) Dragon’s Lair [Interactive film] [Laserdisk] [Coin-op] Cinematronics
Capcom Production Studio (2005) Resident evil 4 [Survival horror, third-person shooter] [GameCube Game Disc] [GameCube] Capcom
Red Hook Studios (2018) [2016] Darkest Dungeon [Dungeon crawler] [Download] [Xbox] Red Hook Studios
FromSoftware (2022) Elder ring [Soulslike] [Eruden Ringu] [Download] [Xbox] Bandai Namco Entertainment
Bella bella bella
Un gran post per festeggiare la chiusura di stagione! I miei primi "castelli" saranno sempre quelli per Intellivision, soprattutto Thundercastle e He-Man.