Mafia, Francis Ford Coppola e il Padrino di Mario Puzo
Un immaginario tradotto in tre lingue diverse, tre splendidi modi per esplorarlo. #letteratura #cinema #videogioco
Bentornati a Giochetti, la newsletter che non si può rifiutare. Prima di lasciarvi all’episodio di oggi vi segnalo che su Appunti di è apparso un mio articolo: “La violenza non è un gioco”. Un tentativo di aprire qualche porta, di comunicare che il videogioco non è per forza la bestia violenta che viene descritta dai media. Per farlo sono partito dai giochi di guerra che più di tutti gli altri si prestano al cliché del videogioco in cui si spara a tutto quello che si muove. Se l’idea vi intriga è una lettura che vi consiglio. Con l’occasione potete scoprire anche un progetto giornalistico interessante come Appunti. Cosa volete di più? Ah, giusto. L’episodio di oggi. Buona lettura!
«Ora vieni da me e dici: “Don Corleone fate giustizia”. E non lo chiedi con rispetto. Non mi offri la tua amicizia. Vieni in casa mia nel giorno dello sposalizio di mia figlia e mi chiedi di commettere un omicidio e dici», qui la voce del Don risuonò di sprezzante ironia, «“Pagherò qualsiasi cosa”. No, no, non sono offeso, ma cosa ho mai fatto perché mi debba trattare così irriverentemente?».
Bonasera gridò con angoscia e paura: «L’America è stata buona con me. Volevo essere un buon cittadino. Volevo che mia figlia fosse americana».
Il Don batté le mani con decisa approvazione. «Ben detto. Molto bello. Allora non hai nulla di cui lagnarti. Il giudice ha decretato. L’America ha decretato. […]».
Il padrino è un bellissimo libro di Mario Puzo, scrittore che forse non avrebbe avuto la fama che ha avuto (e che merita) se Francis Ford Coppola, un regista di origini italiane dal nome inconfondibile, non avesse deciso di trarne un film. C’è uno stretto rapporto tra il libro e il film del Padrino. Simbiotico al punto che oggi il libro di Puzo ha in copertina il volto di Marlon Brando.
«Non puoi dire no alle persone che ami, almeno non sempre. Questo è il segreto. Quindi quando lo fai, deve suonare come un sì. Oppure portare loro a dire no. Devi prendertene il tempo e il fastidio. Ma io sono all’antica, tu sei la generazione moderna, non darmi retta».
Il padrino, che per tutti è un capolavoro drammatico ma per i cavalli è un film horror, entra molto rapidamente nella storia del cinema, vince tre oscar e dà inizio a una delle saghe più belle che se non l’avete vista, io dico, ma che scrivo a fare, non ho più le parole, signora mia guardi cosa fanno questi giovani.
Il Padrino, dicevo, non è soltanto un film che esalta la vita del gangster (che, a mio avviso, rappresenta una versione italiana e criminale del samurai giapponese: un uomo che consacra la propria esistenza al suo don e opera secondo un codice di onore e fedeltà che oggi leggerei più come coercizione e crudeltà), ma è anche una rappresentazione quasi romantica della malavita italo-americana e di tutta l’umanità che ruota attorno a quel mondo.
E dire che la parabola di Michael Corleone qualcosa sul piano etico la dice. Forse l’insegnamento più grande che possiamo tirare fuori da questo capolavoro è proprio la consapevolezza che il male, soprattutto se dipinto con grande bellezza, ha un fascino irresistibile.
Francis Ford Coppola (1972) Il Padrino [The Godfather] [Opera audiovisiva] [Noir, drammatico, gangster] [175 min] Paramount Pictures
«Tom, non ti lasciare sviare. Tutto è personale, ogni briciola di affari. Ogni pezzetto di merda che ogni uomo deve mangiare ogni giorno della sua vita, è una questione personale. La chiamano affari. OK. Ma è personale da morire. Sai da chi l’ho imparato? Dal Don. Il mio vecchio. Il Padrino. Se un fulmine colpisce uno dei suoi amici il vecchio la prende come una questione personale. Il mio arruolamento nei Marines, l’ha preso come una questione personale. Questo è ciò che lo rende grande. Il Grande Don. Prende tutto come un fatto personale. Come Dio.
Mario Puzo (1970) [1969] Il Padrino [Letteratura] [Romanzo] Corbaccio
Il fascino del male (e del denaro, che non di sola bellezza vive l’uomo) è lo stesso che ha catturato Thomas Angelo detto “Tommy”, il protagonista di Mafia. Qui (immagine sottostante) lo vediamo all’inizio del gioco, mentre parla con il detective di polizia John Norman. Cosa si stanno dicendo e il perché si trovino seduti insieme a un tavolo lo lascio scoprire a chi giocherà a Mafia, sappiate che da qui parte il racconto della carriera criminale di Tommy, una carriera che avremo il piacere di interpretare.
Di capitolo in capitolo, in una Chicago d’epoca bellissima da guardare, ripercorreremo tutta l’ascesa di Tommy Angelo all’interno dell’organizzazione, compresi gli aspetti più privati e personali della sua vita. La nostra abilità al volante verrà sfruttata svariate volte, ma è dal punto di vista narrativo che il gioco colpisce nel segno.
A partire da Don Ennio Salieri fino ad arrivare al meccanico balbuziente, tutti i personaggi sono ben caratterizzati e la storia è coinvolgente nonostante si appoggi a molti cliché del genere. Ci sono tutti: dalle corse truccate alle famiglie che si fanno la guerra, dalle sparatorie alle scazzottate. Non manca nulla.
Se vedendo Il padrino avete desiderato esplorare quel mondo, Mafia ve ne dà la possibilità. Chissà, forse anche nella vita di un gangster può esistere un lieto fine. In ogni caso è davvero divertente provarci.
Hangar 13 [Illusion Softworks] (2020) [2002] Mafia: Definitive Edition (Edizione/album) [Videogioco] [Action-adventure] [10½ ore] (Xbox Series X) [PlayStation 4/5, Windows, Xbox One/Series S] 2K
Sportello informazioni
Sento una voce che dice: “Perché parlare di Mafia quando il gioco del Padrino esiste?”. Questa voce non ha tutti i torti, in effetti nell’ormai lontano 2006 è uscito un gioco con licenza ufficiale. Sebbene all’epoca Francis Ford Coppola non l’abbia presa benissimo non è poi così male: la trama si intreccia in vari punti col film, ci sono le voci degli attori originali e se Marlon Brando non fosse stato già troppo malato ci sarebbe stata anche la sua. Peccato che gli anni si vedano, soprattutto a livello grafico. Con tutte le riedizioni che escono, perché non farla anche di questo titolo? Sarà un problema di diritti? Certo, vedere i titoli di testa con la musica originale fa un certo effetto.
A proposito di musica, non ho ancora accennato al lavoro di Nino Rota. Il tema principale del Padrino si stampa in testa come se fosse sempre stato lì tra i neuroni. Il link porta a una delle sue rivisitazioni più famose, The Sicillian Pastorale, ma a me piace molto anche questa chiamata The Halls of Fear. Sono entrambe tratte dalla soundtrack originale.
Uno degli aneddoti che più viene raccontato parlando delle riprese del Padrino è quello del gatto e della scena in cui Don Vito Corleone lo accarezza. Pare che saltare in braccio a Marlon Brando sia stata una scelta del gatto. Forse perché aveva visto i film di James Bond. In questo video un veloce recap di tutte le volte che nei film compare il capo della SPECTRE. Il gatto è quasi una tradizione.


Titoli di coda
Quante volte ho visto Il padrino io non lo so. Mi ricordo che da piccolo alla fine della visione mi veniva spontaneo l’accento siculo (ma forse sarebbe più corretto dire l’accento finto italo-americano) e mi ricordo che della cattiveria e della violenza coglievo soprattutto l’aspetto risolutivo. Accadeva lo stesso anche con Rocky, ma lì invece dell’accento prendevo l’adrenalina e tiravo pugni al cuscino. Avevo una decina d’anni, mi pare. Eppure non credo che vedere questi film mi abbia reso violento. O più violento, se vogliamo metterla così.
Non ho mai chiesto un parere ai cuscini, ma conoscere le emozioni e ragionare sulle conseguenze, vederle rappresentate in un’opera, mi ha aiutato a gestire in altri momenti le scosse di adrenalina, le paure, le parti più crude della frustrazione. Almeno credo. Mi ha dato anche delle soluzioni facili? Ho colpito qualcuno perché lo avevo visto fare in un film? E se il cuore del problema fosse l’imitazione di un gesto visto su uno schermo, un’imitazione uno a uno, pura e semplice, cosa dovremmo fare? Non vedere più nulla, non parlarne più, perché già il solo parlarne potrebbe insegnare a qualcuno un modo violento di stare al mondo? Voi cosa ne pensate? Al prossimo episodio, ciao!
Io, se non trovassi la violenza dentro i videogiochi, probabilmente la praticherei dal vivo. Ciao!
Lo diciamo? Lo diciamo!
Giocare la Definitive Edition di Mafia è una cosa che non ha niente a vedere con la versione originale, che secondo me rimane ancora la migliore, nonché quella a cui sono legato proprio sentimentalmente.