Una graffetta. Poi Diego Rivera, i Pink Floyd ed ecco milioni, miliardi di graffette
Da un'idea all'industrializzazione più sfrenata #primomaggio #festadellavoro #videogioco
Bentornati a Giochetti, conosciuta anche come il sudore sulla fronte e il pane sulla tavola. Ah no, è una newsletter. Ogni tanto mi confondo, scusate. Oggi è il 30 aprile e domani è la Festa dei lavoratori. È un’occasione importante e visto che non sono abbastanza informato per scrivere proposte per migliorare la sicurezza sul lavoro, mi limiterò a fare un volo radente sulla nostra idea di progresso. Facile no? Vi anticipo che non finirà bene, ma è a questo che servono le storie, a imparare a frenare senza doversi schiantare contro un muro. Buona lettura!
(Si consiglia l’assunzione del testo insieme alla colonna sonora.)
La scatola che vedete qui sopra è tutto ciò che compare all’inizio di Universal Paperclips. Un titolo estremamente semplice in cui tutto ciò che si richiede al giocatore si può riassumere con “Crea graffette”.
In effetti la schermata iniziale è minimalista, fin troppo spoglia:
In alto c’è un messaggio di benvenuto, poi l’occhio cade sul numero zero posto di fianco alla scritta “Paperclips” (graffette, in italiano) e un tasto “Make Paperclip” (fai una graffetta) che più esplicito non potrebbe essere. Sotto ci sono altre informazioni a cui non dedicherei troppo tempo ora, l’importante è produrre il nostro primo pezzo.
Eccola. Sia chiaro, questa qui sopra non è un’immagine del gioco, è la versione moderna del brevetto di Samuel B. Fay del 1867, l’idea da cui parte tutto. A dire la verità lui aveva immaginato un destino diverso per le graffette. Come uso principale dovevano tenere insieme un foglietto di carta ai tessuti, probabilmente per non doverli bucare e quindi rovinare. Per lui era un oggetto destinato alle lavanderie e ai commercianti di stoffe e vestiti. O forse l’idea originale era di un norvegese, tale Johan Vaaler, oppure di qualcun altro. L’importante è che oggi di graffette ne esistono un sacco di tipi, variano nella forma (a me piace quella più angolosa con la punta) e se rivestite di un sottile strato di plastica sono tutte colorate.
Nel gioco non c’è niente di tutto questo. Si clicca sul tasto per fare una graffetta e si ottiene un numero, un +1, una graffetta.
Come ciò possa diventare un gioco è un mistero, ma è facile capire cosa accade nella nostra mente di fronte alla prima graffetta: all’uomo non interessa mai un’idea in sé, gli interessa anche, e soprattutto, cosa si può fare con quell’idea. Replicarla, per esempio, e magari venderla. E in un attimo ecco che arriviamo all’industrializzazione. Qui ci facciamo aiutare da Diego Rivera, conosciuto affettuosamente come “il marito di Frida Kahlo”.

L’industrializzazione ha garantito all’umanità uno sviluppo inimmaginabile, il problema è che fa presto a deragliare. Di base funzionerebbe così: abbiamo un oggetto molto utile e noi siamo tanti. Riusciamo a renderlo disponibile a tutti? Farlo ci costerebbe troppo, a meno che… non esistesse una macchina in grado di aiutarci a replicarlo.
A raccontarla in questo modo sembra fantastica l’industrializzazione, ma esistono anche dei problemi. Sia la meraviglia che gli aspetti inquietanti vengono raffigurati da Diego Rivera nei Murales dell'industria di Detroit in cui gli operai delle industrie diventano ingranaggi di un corpo nuovo, composto da uomo e macchina. Come fossero un’unica entità, una sorta di nuova forma divina, il biologico e il meccanico collaborano alla creazione di oggetti così avanzati da sembrare magici.

Diego Rivera (1933) Detroit Industry Murals [Pittura] [Affresco] Detroit Institute of Arts, Detroit, United States
I Pink Floyd hanno vissuto qualcosa di simile nella loro carriera e lo hanno cantato in Welcome to the machine.
Welcome my son
Welcome to the machine
Where have you been?
It's all right, we know where you've been
You've been in the pipeline filling in time
Provided with toys and scouting for boys
You bought a guitar to punish your ma
You didn't like school and you know you're nobody's fool
So welcome to the machineWelcome my son
Welcome to the machine
What did you dream?
It's all right, we told you what to dream
You dreamed of a big star
He played a mean guitar
He always ate in the Steak Bar
He loved to drive in his Jaguar
So welcome to the machine
In italiano:
Benvenuto figlio mio
Benvenuto nella macchina
Dove sei stato?
È tutto ok, sappiamo dove sei stato
Sei stato nella catena di montaggio, a passare il tempo
Fornito di giocattoli, in cerca di un seguito
Hai comprato una chitarra per punire tua madre
Non ti piaceva la scuola e sai di essere furbo
Perciò benvenuto nella macchinaBenvenuto figlio mio
Benvenuto nella macchina
Che cosa hai sognato?
È tutto ok, ti abbiamo detto noi cosa sognare
Hai sognato una grande star
Suonava una fantastica chitarra
Mangiava sempre filetto
Amava guidare la sua Jaguar
Perciò benvenuto nella macchina
Roger Waters (1975) Welcome to the machine [Musica] [Psychedelic rock] [min 7:25] Pink Floyd
Apprezzo moltissimo la critica elegante alla loro stessa carriera: un cantante rock degli anni settanta era il massimo della libertà, uno di quelli che ti diceva in faccia “faccio quello che mi pare, seguo le mie regole”. Passano gli anni e ti ritrovi conformista, a goderti i soldi e a pensare che sei comunque diventato un ingranaggio.
Apprezzo anche la capacità di vedere il meccanismo con chiarezza e di scriverci sopra una canzone di questo livello. Roger, ti sei salvato grazie alla qualità, sennò saresti come gli influencer che sparano i post sulle difficoltà, sulla sofferenza del vivere o, peggio ancora, sulla necessità di fare sacrifici mentre stanno sdraiati in piscina col cocktail in mano.
Ma cosa accade poi? Quando ci rendiamo conto di essere finiti in un imbuto fatto di bisogni/desideri sempre più grandi? Ci fermiamo? Ma no che non ci fermiamo, che domande fate?


Universal Paperclips ci insegna proprio che davanti alla possibilità di crescere noi esseri umani ci ingolosiamo sempre di più. Questo curioso videogioco che sembra un foglio Excel di un ragioniere impazzito fa parte di una categoria strana (li chiamiamo in tanti modi, ma io apprezzo la definizione di giochi incrementali) che basano tutto sul piacere innato di crescere, crescere e crescere ancora.
Dopo la nostra prima graffetta ne produrremo un’altra e poi un’altra. Ci verrà voglia di ottimizzare gli acquisti, di migliorare la resa del filo d’acciaio e di automatizzare i processi. Quando si produrranno da sole, sarà quello il momento in cui dovreste smettere, invece andrete avanti, perché ormai non ci sarà nulla di più importante di un’altra manciata di graffette.
Non fatevi spaventare dal look di Universal Paperclips. Cliccate sul link e provatelo. È gratuito, sta tutto nel browser. Avrete il coraggio di lanciare gli HypnoDroni?
Frank Lantz (2017) Universal Paperclips [Video game] [Incremental] [7 ore] (Web) [iOS, Android] Frank Lantz
Sportello informazioni
La volete la tazza? la felpa? la maglietta con la scritta sugli HypnoDroni? C’è lo shop ufficiale di Universal Paperclips.
Sì, ok, ma l’idea di un gioco così da dove viene? Da un esperimento mentale di Nick Bostrom che spiega che dare obiettivi alle intelligenze artificiali senza imporre limitazioni può essere un rischio per noi e per l’intero universo.
I Pink Floyd non hanno solo cantato la loro trasformazioni in ingranaggi, l’hanno anche mostrata (a modo loro) con un cartone animato nel video ufficiale di Welcome to the machine.
Titoli di coda
Se c’è una cosa che mi piace nella vita è il futuro. Quel concentrato di possibilità che si mischia alle speranze, quel sapore di cibo immaginato in bocca mentre ancora le padelle sono sui fornelli. Sul presente ho delle riserve, invece. Mi sembra che tutti si impegnino a cucinare male. So anche io che la ricetta ideale non esiste, che si cucina con gli ingredienti che si ha, però a volte sembra proprio che la pasta venga gettata nella pentola quando l’acqua ancora non bolle. Meno male che Universal Paperclips ci viene in aiuto con una parabola assurda e iperbolica a forma di gioco. Mentre si costruisce l’ennesimo quanzilione di graffette ci ricorda per contrasto che si potrebbe andare più piano, rinunciare a un +1 e pensare con più concretezza al benessere e alla sicurezza di chi lavora. Cosa vogliamo sacrificare per l’ennesima graffetta? Buon primo maggio. Noi ci rileggiamo nel prossimo episodio.
Aoh ammazza che puntata Ste’
Puntata veramente tosta e suggestiva! Siamo a livelli altissimi (anche se mi sono fratturato l'indice per fare graffette)