Bentornati a Giochetti, la newsletter accogliente come un luogo caro della vostra infanzia. Ho specificato “caro” perché non è mica detto che un luogo dell’infanzia sia accogliente: potrebbe essere quel corridoio del liceo dove vi hanno fatto lo sgambetto, oppure dove avete lanciato un coppino sulla nuca di un vostro compagno. Ma se siete passati per la mia stessa scuola avete visto anche l’esagerato che ha infilato un raudo acceso nel colletto del più sfortunato tra gli studenti.
Che tu sia stato (o sia tuttora) il bullo o il bullizzato saprai che oggi è la tua giornata, una data che dovrebbe far riflettere il primo sulle proprie azioni e far sentire meno solo il secondo, ma… non sono sicuro che vada proprio così. Segnarsi sul calendario una data può servire a ricordarsi qualcosa, ma poi di questo qualcosa bisogna parlare. Vogliamo farlo in stile tg delle 20? Proviamo in stile Giochetti va’. Buona lettura!
Se tu, caro lettore, sei un ragazzo di campagna, sei fortunato! Ti basta fare un passo per trovarti in spazi senza confini, sotto l’immensa volta del cielo. Abituato a guardare orizzonti lontani, non puoi capire cosa vuol dire stare rinchiuso tra i muri grigi di una città. Non puoi nemmeno comprendere cosa significhi, per un ragazzo della capitale, un piccolo prato abbandonato. Per lui è il luogo dove si gioca, è la fuga dalla realtà, è il regno della libertà.
Ferenc Molnár ha scritto I ragazzi della via Pál centodiciotto anni fa, perdonategli lo stile un po’ didascalico. Si è ispirato alla sua giovinezza vissuta a Budapest e ne ha tratto un libro che ancora oggi viene letto (e fatto leggere) perché ha al suo interno una storia di sacrificio, valore e bullismo. Un po’ come Kenshiro, ma in forma di romanzo.
Come si può dedurre dal brano che avete appena letto, i ragazzini di Budapest non avevano molti spazi per divertirsi. Per questo due bande si scontrano per il possesso di un piccolo spazio dove si può giocare con la palla (sarà da qui che nasce la famosa violenza sugli spalti? Lascio a voi l’ardua risposta).
– La miglior cosa sarebbe di fissare il giorno che verrete. Quel giorno io cercherò di entrare per ultimo e lascerò la porta aperta.
– Va bene – disse Feri Ats. – Questa è una buona idea. A nessun costo vorrei occupare il campo in un momento in cui fosse deserto. Dichiariamo la guerra secondo gli usi. Se loro riusciranno a difendere il campo, bene, altrimenti l’occuperemo noi e isseremo sulla fortezza più alta la nostra bandiera rossa. Non lo facciamo per avidità, sapete bene...
Uno dei Pasztor lo interruppe: – Lo facciamo perché vogliamo avere un posto dove si possa giocare alla palla. Qui non è possibile e... Noi vogliamo il campo per giocare alla palla. E basta!
Ecco, la guerra fra quei ragazzi fu decisa come vien decisa la guerra fra le nazioni.
Alle Camicie Rosse occorreva un luogo per giocare alla palla, e siccome non c'era altro mezzo per averlo bisognava fare la guerra.
Il traditore lascia la porta aperta e una delle bande ruba lo stendardo dell’altra (non so se ci avete fatto caso, ma i bambini intorno al 1900 avevano dei codici di comportamento molto elevati).
La bandiera viene recuperata dal più piccolino e malaticcio, Nemecsek, che spinto dall’onore, dall’orgoglio e da un evidente (ma non espresso dall’autore del romanzo) desiderio di prendere forti schiaffi, invece di fuggire esce dal nascondiglio e rivela al clan avversario il suo gesto (sempre più simile a Kenshiro, ne converrete).
Volete sapere chi ha rubato la bandiera dall'arsenale? Sono stato io! Sono io che ho i piedi più piccoli di quelli di Wendauer. Se avessi voluto avrei potuto restare tranquillamente sull'albero sino a che voi non ve ne foste andati, perché c'ero già da più di tre ore e mezzo. Ma quando Gereb ha affermato che non c’è fra noi uno solo che ha del coraggio, allora mi sono detto: “Aspetta un po’, te lo faccio vedere io, un semplice soldato, se quelli della via Pál sono tutti conigli. Ed eccomi qui!”
Tra tutti i personaggi che popolano questo romanzo i fratelli Pasztor sono i più crudeli. Ed ora hanno l’ennesima occasione per dimostrarlo.
– È un ragazzo è piuttosto gracile... Non vale la pena picchiarlo. Che ne dite di fargli fare un buon bagno?
Il verdetto venne accolto con una risata generale. Szebenics lanciò in alto il suo cappello e Wendauer si mise a saltare di gioia come un matto. Lo stesso Gereb, che se ne stava in disparte sotto l'albero, si mise a sghignazzare. Un solo viso restava serio: quello di Nemecsek.[…]
Erano dei ragazzi ben crudeli i Pasztor! Uno gli teneva le mani, l’altro gli immergeva la testa nell'acqua... Quando lo videro nell’acqua fino al collo la gioia delle Camicie Rosse raggiunse il culmine. Eseguirono una danza di guerra e lanciarono in aria i berretti gridando: – Oh opp! Oh opp!
Poi di nuovo scoppiarono a ridere.
L’episodio avrà conseguenze gravi e il libro prenderà una piega molto cupa (esattamente come succede in Kenshiro, io non vorrei insistere, ma…). Molnár non fa concessioni e in fondo sta tentando di comunicare proprio questo: che non c’è nulla che si possa davvero ottenere con la violenza.
Ferenc Molnár (2011) [1906] I ragazzi della via Pál [A Pál utcai fiúk] [Opera letteraria] [Romanzo] [320 pp.] Giunti Editore
Bully si apre con la più classica delle premesse alla base di molte storie con ragazzi difficili: il matrimonio dei genitori ormai in frantumi, una madre che inizia una nuova vita e un patrigno odiato. Se a questo aggiungiamo che Jimmy, il protagonista, viene letteralmente scaricato davanti alla sua futura scuola e salutato con: “Ci rivediamo fra un anno”, be’ potete rendervi conto del perché Jimmy dovrà presto trovare il modo di sfogare la sua rabbia.
In Europa Bully è stato lanciato con un nome latino: Canis canem edit che vuol dire cane mangia cane. (Il detto latino originale sarebbe “Canis canem non est” e significa esattamente l’opposto: i cani, o in senso figurato i violenti, non si attaccano tra loro). Sia Bully che Canis canem edit spiegano molto chiaramente il tema del gioco. Si parla di bullismo, facendocene però interpretare uno.
Anche l’accoglienza del preside della Bullworth Academy non è il massimo. Jimmy è subito inquadrato come un violento piantagrane e lui farà di tutto per confermare le aspettative, rivolgendo però le sue attenzioni verso i più crudeli e finendo per comportarsi come una sorta di vigilante, il bullo che bullizza i bulli, per dirlo con uno scioglilingua.
Nonostante tutto, Jimmy non dimenticherà lo studio. Le classi sono dei piccoli minigiochi a più livelli che affronteremo nell’orario delle lezioni. Allo stesso modo dovremo tornare nel dormitorio prima che sia sera, almeno questo è quello che vorrebbero le regole.
Alla Bullworth Academy Jimmy darà fondo al repertorio del perfetto bullo. Non si farà mancare nulla, a partire dagli insulti:
Il campionario di cattiverie è vario e comprende teste infilate nei gabinetti, incursioni nei dormitori femminili, armadietti scassinati, fialette puzzolenti, fionde, risse a colpi di mazza da baseball:
Classiche smutandate:
E uova lanciate nelle finestre:
Rockstar Vancouver (2008) [2006] Canis Canem Edit (Scholarship Edition) [Bully] [Videogioco] [Action-adventure] [14½ h.] (Xbox Series X) [PlayStation 2/3/4/5, Nintendo Wii, Xbox 360/Series S, Windows, iOS, Android] Rockstar Games
Sportello informazioni
Bully è stato vittima (avviso ironia) di violenze da parte dei più rigidi difensori dei principi morali. Il gioco è in effetti pieno di atti quantomeno discutibili e c’è chi nel Regno Unito si è rifiutato di venderlo o in Brasile ne ha vietato le vendite.
Forse vi sembrerà strano leggerlo su queste pagine, ma se avete bisogno di sostegno perché vivete un momento un po’ complicato ricordatevi che potete sempre chiamare o chattare con un operatore del Telefono Azzurro che, è bene ricordarlo, si occupa anche di bullismo.
Gioco straordinario, che compone assieme a The Warriors ed a L.A. Noire un saggio della potenza di Rockstar nel battere vie diverse da GTA e RDR. Non ci metto Manhunt perché non l'ho mai giocato, ma ho sentito parlare bene anche di quello, quantomeno del primo capitolo.
Possiamo però dire che Canis Canem Edit è forse uno dei pochissimi casi in cui la traduzione europea mangia in testa al titolo originale?
Ricordo con piacere le scorrazzate in bici col protagonista di questo GTA-mini (sia per dimensioni che per gravità degli eventi) che ho giocato su Wii.
È interessante vedere come Rockstar abbia applicato il suo paradigma a varie ambientazioni: quella della scuola è sicuramente la meno popolare rispetto a una big city americana o al Far West, però non ha mancato di divertirmi nemmeno questa, e riuscì pure a farmi immedesimare in quell'atmosfera.